Talking
Volente e nolente: adolescente
Di Eleonora Russo
giovedì 21 gennaio 2010
Tra il primo ed il secondo anno di scuola media, all'improvviso e senza preavviso, come nei peggiori montaggi dei films a basso costo, appare una visione che stride con le certezze, ma soprattutto con la tranquillità della quotidianità: quel bel bambino che non superava il metro e venti, con la sua vocina stridula, che correva ogni due minuti tra le nostre braccia, da un giorno all'altro vomita parole con un tono degno di una possessione demoniaca ed è cosparso da un'inutile peluria sopra il labbro superiore, che neanche lontanamente ricorda i baffi nei maschietti, ma sul volto delle femminucce le fa assomigliare ad un messicano. Quello che chiamavamo romanticamente "il bambino" inizia ad avere un odore che non appartiene a questo mondo, nonostante i lavaggi a novanta gradi (nel senso che le mamme sono piegate in due a lavare e rilavare vesti e prole).
Mentre il corpo assume proporzioni che ricordano i quadri di Picasso, l'abbigliamento cambia, inesorabilmente sempre in peggio. Intanto il ciclo sonno-veglia diventa tipico della famiglia dei pipistrelli, mentre il cibo è scelto, assunto e abbinato in modalità e tempi che sfidano le leggi del metabolismo. Se qualsiasi divieto diventa un sì, ad ogni richiesta genitoriale segue una parolaccia. Chi si è impossessato di loro? Gli ormoni? Lo sviluppo? La cultura? L'I pod? Il guitar hero? I Tokyo Hotel? O la piastra (sia quella per capelli che quella per i panini)?
In «Come sopravvivere ad un adolescente in casa», Francesca Longo, giornalista e scrittrice, analizza ironicamente la perdita della proprietà privata all'interno delle proprie mura domestiche: l'adolescente occupa qualsiasi spazio, divora anche i cubetti di ghiaccio del freezer, oltrepassa le barriere del suono con la sua musica altissima, fa suo qualsiasi capo che abbia il cartellino attaccato e non sia stato ancora indossato dal legittimo proprietario. Il computer, la tv, il telefono e qualsiasi altro tipo di mass media non avrà altro Dio al di fuori di lui. I ragionamenti si fanno astratti e complicati, gli sms dei geroglifici, il linguaggio sbiascicato tra piercing e gomme da masticare. Non ci sono limiti: tutto è amplificato e, come tale, diviene assordante per genitori, docenti ed educatori.
Ambivalente, insolente, indolente: aggettivi che fanno rima, in tutti i sensi, con adolescente. Gli anni di passaggio dalla fanciullezza alla vita adulta sono fondamentali e caratterizzati da un forte dinamismo in tutti i campi: creatività, sperimentazioni, euforia, dolori, riflessioni profonde degne di filosofi e, ovviamente e inesorabilmente, instabilità. Il periodo è transitorio (anche se per alcuni può prolungarsi più del dovuto), ciò non toglie che sia complicato e denso di sofferenze. Comprenderli del tutto risulta complicato, in quanto i messaggi che i ragazzi trasmettono ai genitori, sono molto ambigui: «Ignorami, standomi vicino»; «Non voglio parlare, ma ascoltami»; «Voglio essere autonomo, ma non lasciarmi solo». Dietro queste incongruenze si nasconde il desiderio dell'adolescente di diventare uomo senza perdere del tutto il supporto familiare. Risultato di queste due spinte opposte: paura, ansia e insicurezza. E allora, che fare? Accompagnare il fiume in piena.
Mariano Loiacono, psichiatra e psicoterapeuta presso il centro di Medicina sociale di Foggia, nel suo «Metodo alla salute», esorta gli adulti ad entrare in contatto in primis con l'adolescente che sono stati, immergendosi in quegli anni, al fine di sintonizzarsi con i propri ragazzi. Sulla scorta di queste considerazioni sarebbe auspicabile non concentrarsi solo sulla comunicazione verbale (che in questo periodo porta inevitabilmente solo a scontri o a chiusure), ma cercare, per quanto sia difficile, di predisporsi ad un ascolto affettuoso, ignorando i messaggi paradossali e sforzarsi di comprendere che abbigliamento, modo di porsi e gesti dell'adolescente, non sono un caso o una semplice ribellione, ma fanno parte di una comunicazione analogica, ovvero non verbale, che come tale fa parte del loro modo di esprimersi.
L'adolescenza è un rituale di passaggio che segna l'ingresso del ragazzo nella vita adulta e come tale merita attenzione e non oppressione, rispetto e non permissivismo, comprensione e non eccessivo lassismo. Il genitore, insegnante ed educatore, dovrebbe essere, in definitiva, per l'adolescente un buon compagno di viaggio, senza strattonarlo, sostituirsi a lui o costringerlo a percorrere il suo vecchio sentiero.
Mentre il corpo assume proporzioni che ricordano i quadri di Picasso, l'abbigliamento cambia, inesorabilmente sempre in peggio. Intanto il ciclo sonno-veglia diventa tipico della famiglia dei pipistrelli, mentre il cibo è scelto, assunto e abbinato in modalità e tempi che sfidano le leggi del metabolismo. Se qualsiasi divieto diventa un sì, ad ogni richiesta genitoriale segue una parolaccia. Chi si è impossessato di loro? Gli ormoni? Lo sviluppo? La cultura? L'I pod? Il guitar hero? I Tokyo Hotel? O la piastra (sia quella per capelli che quella per i panini)?
In «Come sopravvivere ad un adolescente in casa», Francesca Longo, giornalista e scrittrice, analizza ironicamente la perdita della proprietà privata all'interno delle proprie mura domestiche: l'adolescente occupa qualsiasi spazio, divora anche i cubetti di ghiaccio del freezer, oltrepassa le barriere del suono con la sua musica altissima, fa suo qualsiasi capo che abbia il cartellino attaccato e non sia stato ancora indossato dal legittimo proprietario. Il computer, la tv, il telefono e qualsiasi altro tipo di mass media non avrà altro Dio al di fuori di lui. I ragionamenti si fanno astratti e complicati, gli sms dei geroglifici, il linguaggio sbiascicato tra piercing e gomme da masticare. Non ci sono limiti: tutto è amplificato e, come tale, diviene assordante per genitori, docenti ed educatori.
Ambivalente, insolente, indolente: aggettivi che fanno rima, in tutti i sensi, con adolescente. Gli anni di passaggio dalla fanciullezza alla vita adulta sono fondamentali e caratterizzati da un forte dinamismo in tutti i campi: creatività, sperimentazioni, euforia, dolori, riflessioni profonde degne di filosofi e, ovviamente e inesorabilmente, instabilità. Il periodo è transitorio (anche se per alcuni può prolungarsi più del dovuto), ciò non toglie che sia complicato e denso di sofferenze. Comprenderli del tutto risulta complicato, in quanto i messaggi che i ragazzi trasmettono ai genitori, sono molto ambigui: «Ignorami, standomi vicino»; «Non voglio parlare, ma ascoltami»; «Voglio essere autonomo, ma non lasciarmi solo». Dietro queste incongruenze si nasconde il desiderio dell'adolescente di diventare uomo senza perdere del tutto il supporto familiare. Risultato di queste due spinte opposte: paura, ansia e insicurezza. E allora, che fare? Accompagnare il fiume in piena.
Mariano Loiacono, psichiatra e psicoterapeuta presso il centro di Medicina sociale di Foggia, nel suo «Metodo alla salute», esorta gli adulti ad entrare in contatto in primis con l'adolescente che sono stati, immergendosi in quegli anni, al fine di sintonizzarsi con i propri ragazzi. Sulla scorta di queste considerazioni sarebbe auspicabile non concentrarsi solo sulla comunicazione verbale (che in questo periodo porta inevitabilmente solo a scontri o a chiusure), ma cercare, per quanto sia difficile, di predisporsi ad un ascolto affettuoso, ignorando i messaggi paradossali e sforzarsi di comprendere che abbigliamento, modo di porsi e gesti dell'adolescente, non sono un caso o una semplice ribellione, ma fanno parte di una comunicazione analogica, ovvero non verbale, che come tale fa parte del loro modo di esprimersi.
L'adolescenza è un rituale di passaggio che segna l'ingresso del ragazzo nella vita adulta e come tale merita attenzione e non oppressione, rispetto e non permissivismo, comprensione e non eccessivo lassismo. Il genitore, insegnante ed educatore, dovrebbe essere, in definitiva, per l'adolescente un buon compagno di viaggio, senza strattonarlo, sostituirsi a lui o costringerlo a percorrere il suo vecchio sentiero.